Il mercato immobiliare come cartina di tornasole di un sistema socio economico giunto al capolinea
La questione abitativa torna al centro della discussione pubblica grazie all’interessante iniziativa di un gruppo di quarantenni che ha dato vita al comitato “Abitare Orvieto”. Un gruppo fondato da venti persone, con un coordinamento composto da Elisa Cinti, Davide Orsini, Agnese Capalti, Massimo Lucarelli ed Eleonora Forbicioni. Il tema che viene sollevato è quello della forte crisi abitativa della città determinata da un mercato immobiliare che è in assoluto il più alto della regione e dalla mancanza di politiche pubbliche necessarie a calmierare il mercato, favorire la residenzialità, attuando soluzioni sia per le esigenze sociali di molte famiglie che per innescare l’indispensabile processo di contrasto alla crisi demografica che rappresenta l’emergenza numero uno per Orvieto. Un tema essenziale, colpevolmente ignorato dal ceto politico, ma che determina una serie di conseguenze collegate anche al decadimento dei servizi e al peggioramento nella qualità della vita.
La questione immobiliare rappresenta la cartina di tornasole e l’ambito più visibile di una serie di storture sociali e economiche che stanno immiserendo anno dopo anno il territorio senza che vi venga posto alcun rimedio, ma anche in assenza di una analisi generale dei pesanti fenomeni regressivi che sono in atto. Il sistema economico orvietano è infatti avvolto su se stesso da decenni, in una spirale perversa che soffoca e paralizza ogni ipotesi di sviluppo, ma che alcune “bolle” come quella collegata all’edilizia degli anni scorsi, avevano fortemente mimetizzato. Cerchiamo di isolare alcuni temi.
MERCATO IMMOBILIARE E DINAMICA INFLATTIVA
Vivere ad Orvieto costa tanto, costa troppo e può permetterselo solo chi ha redditi medio-alti. La città rischia la lenta estinzione con una metamorfosi in atto che è anche di tipo antropologico oltre che residenziale. Anche qui le abitazioni disponibili per locazioni a prezzi abbordabili scompaiono mese dopo mese per lasciare il posto ai bed and breakfast in assenza di interventi sul versante dell’edilizia residenziale pubblica, dell’urbanistica contrattata e dell’housing sociale in genere.
E’ un problema enorme a cui urge porre rimedio, ma perché esiste questa situazione? Sono ormai oltre quattro anni che il mercato immobiliare locale ha un valore pari al doppio di quello di Terni. Ciò significa non solo che c’è una continua fuga abitativa verso i comuni confinanti (Allerona, Castelviscardo e Ficulle soprattutto) ma anche che si verifica tutta una serie di conseguenze a catena. L’esodo residenziale era già stato intenso nel decennio degli anni Ottanta quando una politica urbanistica restrittiva attuata ad Orvieto da parte dell’amministrazione targata Pci aveva consentito lo sviluppo di tutta la parte nuova di Porano. La prima conseguenza di un mercato immobiliare tanto alto è la cospicua e sistematica sottrazione di risorse per le famiglie che hanno acceso un mutuo per comprare casa ad Orvieto e che devono destinare ad esso una parte del proprio reddito almeno doppia rispetto a quella che esce ogni mese dalle tasche dei residenti in qualunque altra zona della provincia. C’è quindi meno denaro disponibile per sostenere i consumi, ma anche meno risorse da destinare agli investimenti che, infatti, ad Orvieto sono da troppo tempo molto bassi per non dire inesistenti. Si è dunque creato il contesto migliore per garantire gli interessi delle banche, ma non quelli della comunità, soprattutto della sua fascia meno abbiente. A costare tanto non sono solo le case, ma anche i beni di consumo e per due motivi. Il primo è costituito dalla dimensione turistica che trascina i prezzi verso l’alto e il secondo dall’assenza di un bacino di utenza tale da sostenere la presenza della grande distribuzione commerciale che rappresenta uno dei più potenti antidoti all’inflazione. Basta confrontare i prezzi dei piccoli supermercati orvietani con quelli dei più grandi di Viterbo e Terni per toccare con mano. Essere piccoli rappresenta un pericoloso disvalore. Le città piccole diventano in genere sempre più piccole e quelle grandi sempre più grandi, in ragione dei flussi finanziari derivanti dalla diversa scala demografica.
L’EMORRAGIA DEI REDDITI ORVIETANI
I rubinetti aperti attraverso i quali si perdono da anni flussi enormi di reddito delle famiglie orvietane sono in realtà molteplici e tutti collegati alla struttura fortemente fallace del sistema economico e sociale la cui ridotta dimensione è parte fondante del problema. Pensiamo solo a quali cifre potrebbero emergere se fosse possibile calcolare le somme di denaro spese dalle famiglie orvietane nel corso degli ultimi dieci, ad esempio, nella sola iper Coop di Viterbo, tanto per dire.
L’altra ferita finanziaria è legata alla carenza di una progettualità pubblica, ma anche privata nel campo dell’assistenza agli anziani (pari ormai al 28 % dei residenti) che non sia quella delle piccole strutture come il Piccolomini gestite dalle coop sociali o interventi di assistenza in convenzione con le stesse coop. La maggior parte delle altre esigenze di assistenza è attualmente assolta dalle badanti straniere. Nel corso degli ultimi anni, il numero delle badanti è oscillato mediamente intorno a quota duecento nell’intero comprensorio. Le statistiche nazionali dimostrano che queste lavoratrici risparmiano intorno al 60 % del proprio reddito che, per una assistenza familiare garantita nell’arco delle 24 ore, è pari a 1300 euro al mese. Risparmi che quasi completamente si trasformano in “rimesse” estere a favore delle loro famiglie di origine. Facendo un conto molto approssimativo ci sono 156 mila euro che ogni mese escono dai conti delle famiglie orvietane e si spostano in Romania, Moldavia, Ucraina, America del sud. Fanno un milione e 872 mila euro all’anno. Diciotto milioni e 720 mila euro in un decennio. Sarà forse il caso di ragionare su come gestire diversamente questo grande tema, garantendo il massimo livello possibile nell’assistenza, ma anche con grande attenzione al potenziale occupazionale e facendo valere anche in Regione la specificità del trend demografico orvietano, pensando ad un grande progetto per gli anziani, auspicabilmente con una predominanza della sfera pubblica?
IL PARADOSSO DEL RISPARMIO PRIVATO
Un dato ampiamente dibattuto e apparentemente positivo è quello del record di risparmio privato, sotto forma di depositi bancari, cioè risparmio non gestito, semplici depositi neanche trasformati in titoli di stato, il cui rendimento è dunque quasi impercettibile. Sono circa 50 milioni di euro che rappresentano un amaro paradosso. L’analisi dei bilanci effettuati nel corso degli ultimi dieci anni sull’attività della Cassa di risparmio (cioè l’istituto che ha fatto per molto tempo il record di raccolta qui) dimostra chiaramente che questa notevole mole di risorse finanziarie serve a sostenere lo sviluppo economico di altri territori, soprattutto del Lazio, dove gli impieghi sono molto più alti. L’emergenza residenziale comunque non può ancora aspettare. Sarebbe davvero tanto strano cercare le risorse per realizzare 50-100 appartamenti destinati a giovani coppie all’interno della caserma Piave? E che fine hanno fatto i grandi progetti per l’economia della conoscenza di cui tanto si è parlato nel passato? Se uno dei limiti di sviluppo del Centro studi relativamente alle convenzioni con le università americane è la carenza di spazi adeguati, cosa si aspetta a lavorare per un grande progetto del genere, nella ex caserma o altrove?
Non potrà esistere nessuna speranza di rilancio della città fino a quando la crescita economica e demografia non si trasformerà in un’ossessione per la comunità.