La guerra delle Falkland/Malvinas
Il primo conflitto del dopo guerra fredda
Nella primavera del 1982 il mondo assistette alla partenza dai porti della Gran Bretagna della più poderosa task force navale che avesse mai navigato dalla fine della seconda guerra mondiale. L’obiettivo era un arcipelago, quello delle Falkland, distante 8000 miglia dalla madre patria, abitato da poco più di 1800 persone. Le isole erano state invase dall’Argentina che ne reclamava da tempo la sovranità. Il conflitto che seguì ebbe una durata di 75 giorni, un teatro delle operazioni circoscritto alle sole Falkland e due soli protagonisti, ciononostante fu una terrificante anticipazione di come avrebbe potuto essere uno scontro combattuto con le più sofisticate armi esistenti e costituì un momento di grande difficoltà nella gestione delle relazioni internazionali, particolarmente per gli Stati Uniti e gli Stati del blocco occidentale.
A questo conflitto, finora poco indagato dalla storiografia, è oggetto del volume “Le Falkland, la guerra di Margaret Thatcher” di Roberto Semprebene, edito da Intermedia Edizioni. La guerra delle Falkland ha evidenziato l’emergere di una serie di controversie che non erano legate al contrasto est-ovest e che non si sarebbero potute risolvere secondo la logica del confronto tra i due blocchi, in un’anticipazione di quella che sarebbe diventato il tema principale delle relazioni internazionali: il rapporto tra paesi del nord e del sud del mondo.
Ma per quale motivo l’Argentina decisa di invadere quelle isole? Al centro di questa che sembrava in realtà una decisione non molto azzardata dal punto di vista chi la mise in atto ci furono le grandi difficoltà che stava vivendo alla vigilia dle conflitto la Giunta militare argentina, al potere nel paese. Innanzitutto si trattava di fronteggiare il diffuso malcontento per le condizioni socio-economiche in cui si trovava il paese e soprattutto gli strati meno ricchi della popolazione, alle prese con inflazione galoppante e una guerriglia di tipo politico sempre più diffusa. Il regime militare che restò al potere dal 1976 al 1983 dopo aver destituito Isabellita Peron, ultima moglie di Juan Domingo Peron, aveva infatti una pressante esigenza di creare un diversivo e cercare una strada per conquistare il consenso. L’opinione diffusa nei vertici militare era dunque quella di ritenere che l’Inghilterra non avrebbe impegnato le proprie forze armate per difendere quelle sperdute isolette dove vivevano appena 1800 abitanti. Il premier inglese Margaret Tatcher vide però nell’aggressione argentina alle Falkland il pretesto per innalzare la bandiera dell’orgoglio nazionale, mortificato dalla fine dell’impero nel dopoguerra oltre che umiliato dalla crisi di Suez del 1956. Anche il governo inglese aveva bisogno di un bagno di consenso in un periodo in cui le riforme all’insegna del liberismo e dello smantellamento dello stato sociale che sarebbero divenute il marchio di fabbrica della Tatcher non avevano prodotto risultati economici, ma al contrario, causato malcontento e proteste. Nello stesso modo, il contesto geopolitico internazionale era tale da non poter restare inerme di fronte ad una iniziativa militare e politica quale quella della Giunta argentina. Dal punto di vista statunitense, l’invasione delle Falkland metteva in serio pericolo l’intero sistema latinoamericano che storicamente era la zona di maggiore influenza della superpotenza occidentale. Gli Stati della regione erano per la grande maggioranza coinvolti in situazioni assimilabili a quella argentina rispetto alle Malvine e alcuni di essi avevano ripetutamente minacciato di ricorrere alla forza per risolverle. Una legittimazione dell’impresa argentina o anche solo una mancata presa di posizione contro di essa sarebbe divenuta un pericoloso precedente: molti altri stati avrebbero tentato di risolvere le proprie controversie territoriali ricorrendo alle armi, ponendo il continente in una condizione di grande instabilità generale e Washington avrebbe corso il serio rischio di perdere il controllo sulla regione.