In una livida e fredda sera del 29 marzo 1944, sette antifascisti orvietani furono costretti a salire su un camion seguito dai soldati della Guardia nazionale repubblicana fascista e trasferiti in località Camorena, in una radura accanto a un fosso nelle campagne tra Castiglione in Teverina e Orvieto, e lì fucilati ad uno ad uno in una cava di ghiaia, mentre i familiari venivano trattenuti in carcere e malmenati. Cosi i sette orvietani furono uccisi da un manipolo di soldati fascisti del famigerato battaglione M (ove la “M era in riferimento a Benito Mussolini) che furono le unità d’èlite della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Il tribunale militare tedesco di Orvieto, diretto dagli ufficiali Winchler e Petzold in collegamento con il comandante nazista di Perugia Gehener, inizialmente non era intenzionato a condannare a morte il gruppo di partigiani ma la pressione dei fascisti locali, e degli ufficiali membri della Guardia Nazionale Repubblicana, fu tale che il Comando tedesco accettò le loro richieste per una “punizione esemplare” alla quale doveva provvedere la milizia fascista. Fu così, e per questo, che Alberto Poggiani, Amore Rufini, Ulderico Stornelli, Federico Cialfi, Raimondo Gugliotta, Raimondo Lanari e Dilio Rossi vennero falciati dalle scariche di mitra in esecuzione di una condanna emessa solo poche ora prima. La vita di questi sei ragazzi e di un uomo adulto, destinati ad essere ricordati come i “martiri di Camorena”, si trasfigura ben presto in un simbolo dell’antifascismo. A questo tragico episodio è dedicato il testo di Cesare Corradini, “Fucilate quei sette. Documenti di archivio, testimonianze e gli atti processuali restituiscono la palpitante dimensione umana e politica di un dramma con molti protagonisti. Una vicenda terribile in cui rancori personali si sovrapposero alle ideologie, in cui vigliaccheria e gesti di nobiltà si accavallarono in una tragica progressione sullo sfondo dell’ultima fase della guerra.
La scrupolosa ricostruzione storica effettuata da Cesare Corradini consente di rivivere il clima convulso, violento ed incerto di quei mesi tremendi, contestualizzando le vicende delle vittime e degli altri protagonisti in quel momento particolare, analizzando anche le responsabilità di chi si prodigò in ogni modo affinché alla “banda Stornelli” venisse inflitta una punizione esemplare. Ricatti sessuali, pentimenti tardivi, azioni disperate, desideri di rivalse personali ammantati da divergenze politiche, violenze bestiali e immotivate fanno da sfondo ad una storia di cui è importante recuperare memoria e conoscenza anche perché il ricordo di quel tragico avvenimento ha provocato per decenni lacerazioni e diffidenze reciproche, facendo sentire la propria influenza fino ai giorni nostri.

 

 

 

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