La vita da romanzo criminale di Luciano Porcari che fu capace di dirottare due aerei e fare molto male agli altri.
E’ stato trovato morto nella sua casa di Terni Luciano Porcari, un protagonista della cronaca nera italiana ininterrottamente dagli anni Settanta fino ai Novanta. Aveva 84 anni e viveva a Terni dopo aver scontato la pena nel carcere di Spoleto per aver ucciso con una coltellata alla gola nel 1994 a Castel Viscardo la sua ex convivente, Roberta Zanetti, una infermiera di 27 anni. Nato in una famiglia di mezzi modesti, è ricordato per essere stato l’unico uomo al mondo ad aver dirottare due aerei di linea e per aver effettuato il dirottamento più lungo di sempre, per questo motivo si era meritato il soprannome di “Dirottatore”. La sua vita è divisa in due fasi, ma la doppiezza ha segnato anche la sua complessa personalità, contraddistinta da un sadismo estremo, pronto a manifestarsi con ferocia glaciale ogni qual volta ebbe l’impressione, alterata e tutta sua, di doversi far valere per difendere la propria famiglia e, soprattutto, i suoi figli. Una pulsione vissuta in modo perverso che lo ha portato a costellare il proprio percorso di dolore e violenza, ma che si è sempre accompagnata ad una certa capacità affabulatoria, un tono conciliante e spiazzante di cui ha continuato a dare dimostrazione anche negli ultimi anni quando non c’erano più bluff possibili da inventare per dimostrare di essere un uomo diverso da quello che si era rivelato.
La prima parte della sua vita è quella di un figlio del popolo, alla ricerca di una occasione di riscatto e fortuna nella Orvieto sonnolenta, polverosa e ruvida degli anni Cinquanta quando si cementa la sua amicizia con un personaggio destinato a far parlare molto di se, quel Giancarlo Parretti che, da lavapiatti e poi cameriere del ristorante l’Ancora insieme al fedele amico Luciano, farà una carriera incredibile, divenendo un finanziere d’assalto fino a comprarsi per breve tempo la casa di produzione cinematografica Metro Goldwin Mayer sul finire dei rutilanti e irripetibili anni 80. Quei due ragazzi affamati di riscatto, successo, soldi e donne erano all’epoca solo una coppia di avventurieri guasconi e spregiudicati, ma la parabola biografica di Porcari avrebbe presto deviato lungo la rotta che lo avrebbe portato a diventare uno dei protagonisti di quel romanzo criminale italiano che ci hanno raccontato un certo cinema, una certa letteratura e tanta cronaca, interrotto solo dal carcere dopo essersi lasciato alle spalle una tragica scia di sangue. Una vita da film come se ne giravano negli anni Settanta, quando non si andava tanto per il sottile neanche nella provincia più placida e la violenza era il registro a disposizione all’occorrenza per togliersi d’impaccio in vari occasioni. Un eroe negativo, vocato al male sul modello di quelli che ci ha ben descritto Giorgio Scerbanenco aggirarsi nella Milano livida e spietata dell’epoca.
L’amicizia con Giancarlo Parretti
Negli anni Cinquanta Luciano e Giancarlo sono ancora solo due giovani spiantati che hanno in testa soprattutto un’idea, quella di uscire dall’anonimato di un paese asfittico che offriva loro l’unica prospettiva di fare il cameriere, lavoro svolto da entrambi, oppure l’aspirante manovale, una delle attività a cui si dedicò il giovane Luciano mentre il futuro finanziere d’assalto cercava di resistere in ogni modo all’insistenza del padre adottivo che lo voleva come lui commerciate di vino. Una gioventù povera, ma non certo da gente rassegnata a rimanere ancora per tanto in quello stato. Chi li conobbe allora li ha descritti come ragazzi di grande scaltrezza, energia, spregiudicatezza. Per molti anni le loro vite hanno continuato ad intrecciarsi anche se la vera scalata sociale sarebbe stato il destino del solo Giancarlo, divenuto un tycoon rampantissimo all’ombra del garofano socialista mentre Luciano si era nel frattempo inventato un business piuttosto modesto legato alle importazione e all’esportazione delle auto in un momento in cui le auto straniere erano ancora un lusso da ricchi. I due rimangono sempre in contatto, ogni occasione di incontro è buona per rievocare le spacconate e le scorribande del passato anche se ormai Giancarlo si divide tra la Francia dove aveva portato a termine la scalata alla casa cinematografica Pathè e gli Stati Uniti dove, per una straordinaria e irripetibile coincidenza astrale, si compirà appunto l’ impresa della vita, targata Mgm. Ormai si fa fotografare a cena con Meryl Streep e Michelle Pfeiffer per la quale si racconta prese una sbandata formidabile mentre nella sua villa di Los Angeles si incontravano Dustin Hoffman, Sofia Loren, Sean Connery. Grazie ad un accordo ai massimi livelli tra Bettino Craxi e il premier francese Francois Mitterand, Parretti e il socio Florio Fiorini avevano ottenuto un finanziamento da 1,3 miliardi di dollari dalla banca pubblica francese Credit Lyonnaise. I francesi avrebbero dovuto finanziare la scalata al colosso del cinema Usa da parte dei due affaristi italiani in uno scambio tra i sodali, capi di governo italiano e francese che, di lì a poco, avrebbe dovuto aprire le porte ai capitali francesi nell’allora ipotizzata privatizzazione delle ferrovie italiane. Giancarlo è all’apogeo della gloria; continua a sentire l’amico Luciano a cui, alcuni anni prima, aveva offerto una nuova opportunità economica e professionale. Nella seconda metà degli anni Ottanta, Parretti era entrato in rapporti d’affari e di amicizia con Samuel Doe, un militare che aveva preso il potere in Liberia in seguito ad un colpo di stato. I due si fidano l’uno dell’altro tanto che Doe aveva nominato l’ex cameriere orvietano come potenziale ambasciatore all’Onu della Liberia. Tralasciando il simpatico particolare che dopo essere stato destituito nel 1990, Doe sarà processato e condannato con l’accusa di cannibalismo, Parretti divenne una specie di plenipotenziario del governo e, grazie a quel potere, affidò all’amico Luciano la direzione di una miniera di preziosi nel paese africano. Dopo un po’ di tempo però la gestione della miniera comincia ad avere seri problemi e tra i due amici cresciuti nei vicoli di Orvieto si rompe qualcosa. Litigano con l’irruenza senza mezze misure che appartiene ad entrambi e quel filo che li aveva tenuti uniti fino ad allora si rompe per sempre. Quando Porcari divenne l’assassino che tutti conoscono, Parretti ebbe parole durissime e disse di non riconoscere più l’amico di un tempo, né di averlo mai ritenuto capace di compiere quelle efferatezze. Porcari ha sempre avuto una natura per cosi dire doppia, un’indole fortemente manipolatoria e una tendenza bipolare capace di risultare stranamente convincente, almeno in determinate circostanze e con certi interlocutori. Una mente criminale molto simile a quella di Angelo Izzo, uno dei massacratori del Circeo la cui vicenda richiama da vicino quella dell’orvietano, con altri tipi di ossessioni, ma anche lui capace di farsi beffa degli altri.
I dirottamenti e le violenze.
Nel 1972, in Costa d’Avorio, nell’aeroporto di Abidjan, Porcari aveva tentato di uccidere la moglie sparandole con una pistola e, non riuscendoci, aveva tentato di dirottare un aereo dell’Alitalia venendo ferito al termine di un conflitto a fuoco con la polizia. Cinque anni dopo si rese protagonista di uno dirottamente più lunghi di sempre nella storia dell’aviazione civile. Tenne in ostaggio decine di passeggeri e l’equipaggio di un Boeing della compagna spagnola Iberia tra Abidjan, Torino, Varsavia e Zurigo dove fu infine costretto ad arrendersi dopo aver costretto il pilota a percorrere cinquantamila chilometri in cinque giorni. Spiegò di averlo fatto nel tentativo disperato di portare con sè in Italia i quattro figli avuti dalla prima moglie, una giovane e bella ragazza della Costa d’Avorio, figlia di esponente del governo del paese africano, un uomo molto potente e ricco. La donna gli aveva dato quattro figli. I figli sono stati per lui sempre una potente ossessione capace di trasformarlo in uno spietato omicida. Nel 94, quando il tribunale minorile decise di toglierli la figlia di tre anni che aveva avuto con la ragazza di Castel Viscardo, fece irruzione prima in casa dei genitori dei lei, sparando alla madre della donna, ferendola di striscio, poi si barricò per ore in casa sequestrando la donna e, al termine di un lungo confronto con i giudice Paolo Micheli che aveva tentato di convincerlo a liberare la povera infermiera, la uccise sgozzandola e sparandole un colpo di fucile. Fu una mattinata spaventosa. Porcari dall’interno dell’abitazione continuava a minacciare con il coltello la donna, accusandola anche di avere avuto una relazione con il magistrato. Farneticazioni deliranti fin quando non decise di compiere il gesto fatale, non prima di aver sparato ai carabinieri.
Nel 2015 uscì dal carcere di Spoleto dove aveva scontato 21 anni di reclusione dei 26 a cui era stato condannato per quell’efferato omicidio. Uno dei figli si era intanto tolto la vita ad Orvieto. In precedenza, durante la carcerazione aveva dato prova di essere un detenuto modello ed aveva anche costruito un’auto da corsa per la formula tre a cui aveva dato il nome di “La prigioniera”.
Iniziò una nuova fase della sua esistenza, caratterizzata da una mitomania fuori controllo che lo aveva portato ad inviare alle procure di mezza Italia improbabili dossier che avrebbero dovuto spiegare misteri e retroscena di affari internazionali e grandi casi irrisolti di cronaca. Tra questi il caso di via Poma in cui aveva perso la vita la povera Simonetta Cesaroni. Appena scarcerato, aveva immediatamente violato gli obblighi di firma a Terni ed era scappato. Venne arrestato a Bolsena dove aveva preso alloggio in una dimora d’epoca dopo essersi camuffato ed aver falsificato i documenti. Gli ultimi anni li ha trascorsi a Terni continuando anche a scrivere memoriali e coltivando l’idea di dare alle stampe una sua biografia. Una biografia che, come mi raccontò in un bar di Terni pochi anni fa, non sarebbe “Certo stata la vita di un criminale, ma di un uomo che ha fatto molti sbagli di cui è pentito, ma che ha lottato sempre per la propria famiglia”.