Come per numerosi dogmi della Chiesa cattolica, anche quello relativo alla presenza del corpo e del sangue di Cristo nell’eucarestia (la transustanziazione) è una “invenzione” difensiva, cioè un atto di fede imposto al popolo di Dio dai vari Concili in funzione di lotta ai nemici interni della Chiesa. In questo caso, si tratta di un dogma elaborato come strumento di contrapposizione teologica contro il catarismo, considerato una eresia del cristianesimo, ma che nel 1200 era in realtà talmente autorevole e diffuso in molte aree dell’Italia e della Francia meridionale da essere a pieno titolo considerato una sorta di cristianesimo alternativo, in grado dunque di mettere in discussione il ruolo ed il potere del papato anche dal punto di vista terreno. Si trattava infatti di un’altra Chiesa a se stante, con altri valori, disancorata dal potere temporale e con un proprio clero. Il catarismo, complessa dottrina di tipo dualistico che negava la dimensione materiale della vita per esaltarne la componente spirituale, venne repressa con violenza inaudita da papa Innocenzo III, responsabile del massacro degli oltre 20 mila abitanti di Beziers, nel corso della crociata albigese, condotta in Linguadoca che rappresenta il primo esempio di crociata contro nemici interni alla cristianità. Il pericolo cataro che condannava i fasti e la degenerazione della Chiesa di Roma, ma anche molti dogmi come appunto quello che il corpo di Cristo si trovasse nel pane dell’ostia ed il suo sangue nel vino della messa, doveva essere eliminato sia con la spada che con la dottrina tanto che il quarto Concilio Lateranse del 1215, condannò questa “eresia”, riaffermando con forza il dogma della transustanziazione. Non è un caso che i territori a fortissima presenza catara come Orvieto, dove le classi sociali più elevate li proteggevano considerandoli i veri e più autentici interpreti del Vangelo, siano state quelli in cui il tema dell’eucarestia e dei miracoli eucaristici siano stati propagandati dalla Chiesa con maggiore energia ed impegno. Non è nemmeno un caso la presenza ad Orvieto e Bolsena di Domenico di Guzman (san Domenico), per non parlare di Tommaso d’Aquino (san Tommaso), tra i massimi intellettuali del Medioevo, che non venne certo mandato ad esercitare il suo magistero ad Orvieto per una coincidenza, ma proprio per estirpare quella visione alternativa del cristianesimo che qui era cosi radicata e che difese la transustanziazione nella sua “Summa Theologiae”.  La credenza tradizionale secondo cui lo stesso duomo di Orvieto sarebbe stato realizzato per custodire il lino macchiato dal sangue di Gesù, va letta in questo senso, ma in questo senso deve essere anche considerato il fatto che la Chiesa abbia subito riconosciuto come vero il “miracolo” di Bolsena in un contesto in cui tali eventi prodigiosi venivano segnalati ovunque con grande frequenza.
La stessa nascita degli ordini predicatori come i Domenicani e i Francescani fa parte della strategia della Chiesa per contrastare i catari sul loro stesso terreno, quello cioè della predicazione come sistema per convincere le persone e dell’esibizione della povertà come stile di vita simile a quello seguito dai catari.

La spiegazione scientifica del “miracolo”

Indipendentemente dalla fede che si possa avere nel mistero della transustanziazione eucaristica, il miracolo di Bolsena ha una spiegazione microbiologica . Lo ha dimostrato il Cicap, un ente per le verifiche sui fenomeni paranormali fondato da Piero Angela ed alcuni scienziati.
Per secoli si è osservata la comparsa inesplicabile di “sangue” sui cibi. Già nel 1848, Christian Ehrenberg, a Berlino, indagando casi analoghi, fu in grado di vedere per la prima volta il microrganismo grazie ai migliori microscopi allora disponibili. Ehrenberg riconobbe anche che le condizioni necessarie al suo sviluppo (un substrato ricco di amido e non troppo acido, come erano le ostie nel medioevo, ed un ambiente caldo ed umido), bene si adattavano al caso di Bolsena. Non fu forse una coincidenza che la maggior parte dei “miracoli microbiologici” si siano verificati in estate, oltreché in epoche storiche in cui le scarse condizioni igieniche favorivano questo tipo ili contaminazioni. Sarebbe interessante compiere un ultimo test: analizzare le reliquie di Bolsena e cercare di identificare possibili frammenti di Dna, per stabilire se esso abbia origine umana oppure provenga da una colonia di Serratia.
Un’analisi scientifica delle reliquie, richiesta dal vesvovo Grandoni, vescovo di Orvieto nel 1978, fu però negata dal Capitolo della Cattedrale
A chi ha accesso ad un laboratorio di microbiologia, non è difficile riprodurre il “miracolo di Bolsena”. La Serratia marcescens, anche se è talvolta causa di infezioni non è particolarmente pericolosa da maneggiare; si prepara una fettina rotonda di pane e la si pone in una capsula di Petri; vi si aggiungono alcune gocce di una coltura di Serratia, e dopo averla leggermente inumidita con acqua sterile, la si tiene in incubazione a circa 30 °C per un paio di giorni. Si producono macchie di un intenso colore rosso, spesso di aspetto mucillaginoso, molto simile al sangue. Se si lasciano seccare le fettine di pane, il pigmento resta stabile per lunghissimo tempo. Per evitare contaminazioni da microrganismi estranei, sarebbe opportuno operare secondo le tecniche microbiologiche atte a garantire la sterilità delle operazioni, ma di solito, anche senza utilizzare le apparecchiature prescritte (un’autoclave, una cappa a flusso laminare, ecc.), gli inquinamenti sono assai rari.

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